«Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal Cielo» (Gv3,27)

Sappiamo e spesso lo ripetiamo, anche con una certa disinvoltura, che il nome nella mentalità biblica è una missione. Ebbene, proprio questa consapevolezza non dovrebbe lasciarci tranquilli: se è vero, come è vero, che ci chiamiamo “Koinonia Giovanni Battista”, dovremmo reagire con più fermezza contro certi atteggiamenti che non sono compatibili con la persona e la vita del Battista.

Non si tratta di fare i moralisti, ma è bene prendere coscienza che la koinonia, intesa come ‘comunione’, non è solo un dono ma anche un impegno che riguarda tutti, anche chi non ha compiti di responsabilità all’interno della comunità.

Gesù, prima di offrire sé stesso, ha recitato quella che è comunemente chiamata la ‘preghiera sacerdotale’ (cfr. Gv 17), nella quale chiede al Padre, per ben cinque volte, il dono dell’unità, e non una generica unità, ma la stessa che contraddistingue la divina Trinità. Da un lato, quindi, siamo consci che senza la grazia di Dio non possiamo camminare insieme, uniti e perseveranti; dall’altro, è necessario crescere nella consapevolezza che spetta anche a noi fare qualcosa e, per quanto piccolo possa essere, il nostro contributo è indispensabile.

«Anche per esperienza personale
sappiamo che ciò che mina l’unità all’interno di una comunità
sono le gelosie, le invidie e le rivalità.»

Icona Giovanni Battista

Anche per esperienza personale sappiamo che ciò che mina l’unità all’interno di una comunità sono le gelosie, le invidie e le rivalità. Realtà umane che incontriamo giorno dopo giorno nelle nostre relazioni, perché sono presenti dentro di noi, nel nostro cuore. L’aspetto comunitario, a volte, le amplifica fungendo da cassa di risonanza. È infatti il nostro rapporto con gli altri che può mettere in crisi quello con il Signore, e ciò si evince in modo chiaro dall’episodio della prima coppia di fratelli del libro della Genesi. Per Caino fu certamente un problema il fatto che il Signore non gradì la sua offerta, ma l’aver constatato che quella di suo fratello Abele era stata gradita, aggravò la situazione in modo irreversibile, tanto da portarlo a commettere fratricidio.

Viviamo nelle relazioni la dinamica del ‘confronto’ in cui è sì importante il mio rapporto diretto con il Signore, ma questo viene condizionato dalla relazione con gli altri, con quelli che vivono a stretto contatto con me. In altre parole, se prima ero contento di ciò che avevo e di quanto il Signore mi dava, adesso non lo sono più perché ho visto che chi mi sta accanto ha ricevuto di più o qualcosa di meglio. Tutto ciò è chiaramente paradossale e trova la sua ragione di esistere solo nell’ambito della sensibilità, che è molto importante nella persona umana, ma che non è il ‘proprio’ che la contraddistingue dal resto del creato visibile.

Per questo motivo lo stesso Signore si rivolge a Caino con queste parole: «Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (Gn 4,7). Ecco dunque il nostro compito: governare (traduzione più letterale di ‘dominare’) il mondo sentimentale, soprattutto quando le nostre sensazioni diventano pericolose perché ci portano lontano dalla comunione con gli altri.

Come possiamo dunque collaborare con la Grazia di Dio che opera in noi?

A questo proposito Giovanni Battista ci dà una lezione magistrale che ci sprona ad alzare lo sguardo e a non rimanere preda della nostra sensibilità. Messo alla prova, forse proprio dai suoi discepoli, nel momento in cui lo informano che Gesù stava battezzando da un’altra parte e che ‘tutti accorrevano a Lui’, risponde con una frase che, se accolta e fatta nostra, ci dà libertà interiore e garantisce un sano rapporto con noi stessi, con coloro i quali ci relazioniamo, ma soprattutto con il nostro Signore Gesù. La risposta è quella che leggiamo spesso nel Vangelo: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo» (Gv 3,27).

È un pensiero semplice e proprio per questo capace di mettere ordine nei nostri ragionamenti che, mossi dalla sensibilità, ci possono portare a vivere situazioni di disagio tali da raggiungere anche veri stati di frustrazione. Il ‘sentire’ infatti è ancorato al presente e non si accontenta delle promesse, proprio perché sono legate al domani. Per poter quindi vivere bene il presente è opportuno governare la sensibilità astraendola dal ‘qui’ e ‘adesso’, mediante l’aiuto di concetti quali l’onnipotenza e la giustizia divina, che, a ben vedere, troviamo celati nella sentenza del Battista. Tali concetti possono orientare il nostro pensiero e di conseguenza il nostro agire suscitando in noi fiducia, e non solo fede, nel Signore che dispone per ognuno il meglio e che questo meglio per ognuno corrisponde al meglio per tutta la comunità, cioè per tutti. C’è una concezione della Signoria di Gesù che tutto governa con ordine, giustizia e sapienza, nonostante il nostro peccato e i nostri limiti; consapevolezza che non possiamo fare tutto e che non abbiamo tutti i doni e le qualità di questo mondo. Accogliere ciò è un grande passo di maturità.

Vivendo con questa fiducia cresciamo e acquistiamo una giusta considerazione di noi stessi e degli altri e tutto ciò aiuta ad attenuare o a sradicare la gelosia e la rivalità, rendendoci capaci di servire e costruire insieme l’opera che ci è stata affidata.

In queste poche parole è racchiusa la sapienza di quest’uomo che, chiamato dalla Provvidenza a preparare la via al Signore, ha saputo svolgere il suo alto ministero in piena docilità e fedeltà fino al martirio.

Giuseppe De Nardi

Illustrazioni:

  1. La grotta di Giovanni Battista al monastero di San Giovanni nel Deserto, con citazione in ebraico del Vangelo di Luca 1,80 (disegno di Benjamin Berger)
  2. Icona di Giovanni Battista collocata nel monastero di S. Giovanni nel Deserto nella valle di Ain el-Habis, non lontano da Ain Karem in Israele (copyright: © Eitan Simanor/CTS)